Cosa c’è di più poetico di chi produce il vino?
Immagina uomini e donne dediti al lavoro quotidiano della terra, in una società moderna che viaggia veloce verso una realtà digitala. Ancorati ad antiche tradizioni, che costano tanta fatica, non solo fisica, ma che regala anche grandi soddisfazioni.
Coltivare la terra è una scelta
Per questo mi affascina la storia di Andrea Franchetti, che decise a quarant’anni di diventare produttore, dopo una vita dedicata alla distribuzione dei vini italiani all’estero.
Come nei migliori dei romanzi, avviene il cambiamento, acquista un terreno nel 1980 in Val d’Orcia, un’ampia campagna situata in Toscana, nella provincia di Siena, a nord ed est del monte Amiata. A quei tempi terra desolata e argillosa dove non si sapeva cosa ricavarci.
“Un giorno trovandomi lì vidi una casa completamente diroccata, con un albero di fico che cresceva dentro le mura. L’acquistai, ma subito dopo me ne dimenticai per andare in America, dove mi occupavo di distribuzione di vini italiani”.
Sembra proprio l’incipit di un romanzo, invece sono le parole dello stesso Franchetti, che sei anni dopo decise di tornare in Italia e stabilirsi in quella casa per coltivare un sogno, fare il vino più buono al mondo.
Precursore di mode e tendenze
La sua capacità intuitiva combinata alla fascinazione dei luoghi, è un binomio che si evince dalle parole dello stesso Franchetti, quando descrive il momento esatto in cui sceglie i luoghi della sua produzione.
Val d’Orcia è il punto di partenza della sua sperimentazione come produttore, un vecchio casolare e tanta voglia di fare. Il terroir gli sembrò ideale per coltivare uve di taglio bordolese, Cabernet Franc, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Sauvignon.
I suoi continui viaggi a Bordeaux, per imparare le tecniche, uno dei suoi maestri Peter Vinding-Diers vignaiolo con esperienza internazionale, il primo vino arriva nel 1995 Le Cupole.
Il 2000 è il momento della Sicilia
La sua visione pioneristica sbarca in Sicilia, lo sguardo visionario interpreta la varietà dei diversi terroir etnei sintetizzando il concetto dei “vini di Contrada”, su modello dei cru di Borgogna.
Anche qui l’influenza del suo apprendistato, risulta una mossa vincente, una riscoperta della varietà autoctona il Nerello Mascalese e le sue potenzialità, lanciandolo sul mercato internazionale.
Che dire il fascino dei vini creati da quest’uomo, rimarranno nella memoria, nonostante la sua scomparsa il 6 dicembre 2021, la sua opera rimarrà nel tempo.
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